Nello scontro tra armatori, il governo dà ragione a Moby

Nello scontro tra armatori, il governo dà ragione a Moby
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Dalla delocalizzazione alla “debandierizzazione”. Facendo passare il neologismo, si può sintetizzare così l’ultima puntata della battaglia dei mari che ormai da mesi vede contrapposti “big” delle acque italiane, gli armatori Vincenzo Onorato, “numero uno” di Moby Lines e patron
che prese parte a due Coppa America), ed Emanuele Grimaldi, che oltre al’ omonima compagnia guida Confitarma, la confederazione degli armatori. Al centro della contesa è la riforma del governo Renzi , il decreto legislativo 321 che rivisita i benefici fiscali e contributivi già previsti dalla legge 30 del 1998. Un atto – il decreto – che ha ricevuto il 26 ottobre il parere favorevole delle commissioni della Camera ed è pronto alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, che farebbe scattare i 18 mesi del periodo transitorio per adeguarsi alle nuove norme, rivolte a limitare la concessione degli aiuti (che arrivano fino al’ esenzione totale dalle imposte sul lavoro) alle navi che imbarcano personale italiano o comunitario e che operano fra due porti distanti almeno 100 miglia nautiche.
In prima linea c’è appunto Onorato, che ricorre a ogni media per comunicare la sua linea. Nei giorni scorsi, a esempio, dopo l’ultimo passaggio in Parlamento ha messo su Facebook un post titolato “Grazie Matteo (Renzi, ndr), il primo governo che si prende a cuore i marittimi italiani” e poi “Uniti vinceremo!”, arrivando a parlare addirittura di «schiavi del terzo millennio» per i lavoratori stranieri imbarcati sulle navi. Toni forti, bilanciati da quelli di Grimaldi che la settimana scorsa ha “infiammato” l’assemblea di Confitarma svelando quella che potrebbe essere la nuova frontiera: il cosiddetto “flagging out”. «Se il governo non modifica la norma sulle regole d’imbarco dei metterò le mie navi sotto bandiera estera. Ho discorsi già avviati con i ministeri di vari Paesi, tra cui Svezia, Regno Unito, Finlandia e Malta». In questo modo, le navi della flotta Grimaldi potrebbero aggirare il decreto. Intuibili sono le ricadute in chiave occupazionale di tale minaccia. Grimaldi parla di 1.500 posti di lavoro a rischio nel nostro Paese per i soli traghetti. Più grave è il quadro tracciato da Onorato, per questa ragione uscito da tempo da Confitarma «sbattendo la porta», che arriva a parlare di 20 mila posti (per di più in un settore che vede già migliaia di italiani disoccupati) e presenta la sua come una «battaglia etica». Non contro gli immigrati, ma per garantire parità nei trattamenti di lavoro. A differenza di Grimaldi, che ne fa una questione di «competitività», sostenendo come «nella pratica abbiamo provato che l’imbarco regolato di extracomunitari traina l’occupazione anche italiana». La questione è essenzialmente economica, come la riassume Alessandro Pico, segretario nazionale di Federmar-Cisal: «Il fatto è che la norma del ’98 è stata troppo spesso aggirata, con l’assenso di alcuni sindacati. Specie sulle tratte con uno scalo internazionale, tipo la rotta Civitavecchia-Sardegna Tunisi, basta una dichiarazione concordata per far sì che alcune compagnie assumano in prevalenza extracomunitari pagati 6-700 euro netti al mese, anziché gli italiani a 1.500 euro. E in più intascano lo stesso gli aiuti fiscali. Una evidente distorsione della concorrenza». Le visioni restano diametralmente opposte. A mediare, non senza difficoltà, ci prova il ministro delle Infrastrutture: «Non vogliamo creare problemi alle imprese», ha affermato Graziano Delrio. Un compromesso possibile – si dice – potrebbe essere quello di limitare l’obbligo a imbarcare “comunitari” non a tutto l’equipaggio, ma al minimo previsto dalle norme di sicurezza. Ma Onorato rilancia: «Non si può scherzare, la sicurezza dipende molto dalla qualità dei marittimi».

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